Una vecchia conoscenza, una vecchia stima. Una sua poetica costante nei tempi lunghi ma con variazioni sul tema sorprendenti. Si tratta di far parlare la carta, di dare una lingua e un mandato a questo materiale dall'artista privilegiato da decenni e che in tempi recenti si si è diversamente ingentilito con l'uso dell'acquerello. Ben lunga, invece, il pattern carta-segno. La carta è significante, e sarebbe una condizione autoreferenziale ma in ogni caso sostanziale, se Gubinelli non intervenisse aggiungendo al segno naturale della carta i suoi segni immaginifici che vorrei dire omofoni, proprio come in musica do diesis e re bemolle hanno lo stesso suono ma appartengono a due condizioni armoniche diverse. La carta che Gubinelli sceglie gli offre una certa potenzialità segnica che l'artista percepisce ed esplicita proprio col suo modo, appunto omofono, di incidere su di essa. Affascinatissimi i suoi libri-oggetto, peraltro. Questo soprattutto quando, ormai è cosa vecchia di decenni, Gubinelli abbandona il segno astratto geometrico a favore di uno lirico-fenomenico. Sicché emerge, lungo la narrazione di baluginii cromatici e di segni connotativi, "l'invisibile bellezza" di cui parla Fernando Miglietta nell'introdurre una recente mostra dell'artista marchigiano-toscano alla Fondazione Sassi di Matera. La precedeva di poco un'altra personale a Milano, all'Università Bocconi per la cura di Elena Pontiggia. Un curriculum intenso e soprattutto rigoroso come rigorosa e tesa è la sua ricerca.
Carmelo Strano
Paolo Gubinelli | Graffi | 2019 | colori in polvere su carta | 50 x 70 cm
Paolo Gubinelli | Graffi | 2019 | colori in polvere su carta | 50 x 70 cm